mercoledì 26 dicembre 2012

Recensione: “Figlio di nessuno”–Mariangela Altamura

TRAMA (da Booksprintedizioni):
Sohn era il figlio di due americani, morti in un incendio per cause sconosciute. A causa del trauma subito, decide di non rivolgere più la parola a nessuno. Viene trovato in stato di shock e portato in un orfanotrofio, dove viene spesso maltrattato dai bulli e dalla severa direttrice.
Una volta adottato, si trasferisce con la sua famiglia nella cittadina statunitense Blue Hill; a scuola conosce Arya, una ragazza italo americana, della quale ben presto si innamora.
Parallelamente alla misteriosa figura di Sohn, tre pericolosi serial killer sono alla ricerca del ragazzo, per vendicare una vecchia ed inquietante questione.
La salvezza di Sohn e Arya avverrà grazie alla forza d'animo del ragazzo, oramai guarito dal suo doloroso passato, e grazie al prezioso aiuto del geniale e determinato detective Law
L’autrice di questo romanzo, Mariangela Altamura, oltre ad abitare nel mio stesso collegio a Parma, è anche ben più giovane di me. Chi mi conosce bene sa quanto mi dispiaccia non essere in grado a costruire dei racconti, delle trame, qualcosa di concluso che possa essere pubblicato. E’ quindi con grande ammirazione che mi accingo a recensire il primo romanzo di Mariangela.

Si tratta di un racconto o meglio, a parer mio, di una favola a tinte fosche, ma a lieto fine. La trama è ben sviluppata, ben raccontata. L’ambientazione è ben descritta ma al contempo un po’ vaga, ed è proprio per questo che parlo di favola… L’incendio in cui muoiono i genitori di Sohn si sviluppa in una casetta nel folto della foresta, attraverso la quale egli è costretto a fuggire: un’atmosfera disneyana, o da fratelli Grimm. Mi è piaciuto.

Lo stile è molto curato, anche se non sempre mi convince l’uso della punteggiatura, che per altro è sempre corretto. Si tratta di scelte personali.  L’aggettivazione è sempre ricca, mai ripetitiva o noiosa. Il prologo, di cui pensavo di regalarvi un assaggio nella prossima puntata della rubrica Chi ben comincia, mette i brividi. Talvolta, ho avuto l’impressione che però, nel ricercare immagini significanti dal punto di vista retorico, Mariangela abbia un po’ perso di vista l’aspetto primario, cioè quello comunicativo della scrittura. Ci regala di continuo passaggi mozzafiato, che non si riducono a essere esercizi di bello stile: lo sviluppo del racconto però, a volte, ne risente un po’.

Una buona prima prova, in conclusione. Ammiro profondamente il coraggio di Mariangela nell’uscire allo scoperto e pubblicare.

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